EVAN PARKER & WALTER PRATI

Evan Parker è un vero mito vivente per gli appassionati  del free jazz e della sperimentazione: in oltre 50 anni di carriera iniziati nel 1968 nelle file dello Spontaneous Music Ensemble di Londra e un numero impressionante di dischi, progetti e concerti ha attraversato, fondandola, tutta l’improvvisazione europea. Ha suonato con Robert Wyatt, David Sylvian, gli Spiritualized; nel rivoluzionario Machine Gun, con il compagno di avanguardia Peter Brötzmann, così come in trio con Alex von Schlippenbach…con Michael Nyman, e poi i maestri come Cecil Taylor, Ornette Coleman…Famose le sue collaborazioni con Anthony Braxton, Steve Lacy, Roscoe Mitchell o più recentemente con Thurston Moore, John Zorn…impossibile citarne anche solo una parte!

Intervistato da Fabio Pigato, dal palco del CSC – Centro Stabile di Cultura lo ascoltiamo in live con Walter Prati, agli inserti elettronici e violoncello: una preziosa e proficua collaborazione, in gioco tra istinto e improvvisazione, iniziata a partire dai primi anni ‘80.


EVAN PARKER & WALTER PRATI

live CSC Centro Stabile di Cultura (VI) 17.11.2019

Evan Parker (UK) – sassofoni
Walter Prati (IT) – elettroniche, violoncello

CULT TV | Live Reviews
Regia | Pai Dusi
Intervista | Fabio Pigato
Produzione | CULT TV web tv
Mixer live | Fabio Tagliabue 

 

191117-evan-parker-prati-1

Jazz e Sperimentazione – INTERVISTA a EVAN PARKER
Intervista: Fabio Pigato

Evan Parker nasce a Bristol ma si sposta fin da giovane a Londra, dove conosce
l’amico di lunga data Robert Wyatt poco prima dell’incidente che costringe
quest’ultimo sulla sedia a rotelle. Durante la sua lunga carriere suona e collabora con
innumerevoli artisti: John Zorn, Bill Laswell, Thurston Moore e Ikue Mori, solo per
citarne alcuni. Lo abbiamo intervistato prima del suo concerto al Centro Stabile di
Cultura che ha tenuto in coppia con il compositore italiano Walter Prati.
Ecco che cosa ci ha raccontato…

Ciao Evan, il tuo ultimo disco Chiasm, con i Kinetics è stato registrato dal vivo a
Londra e Copenhagen. Come avete scelto le tracce e pensi che sia possibile
riprodurre il feeling che si crea sul palco, all’interno di uno studio di registrazione?
EP: Questi ragazzi sono molto bene organizzati e ci si può fidare di loro per registrare ed
editare qualsiasi cosa. Ovviamente avevamo un’idea di quale dovesse essere il nostro
suono “di base” prima di iniziare a suonare.
Rispondere invece alla tua domanda se sia possibile replicare questo tipo di atmosfera in
uno studio di registrazione non è facile. A volte si e a volte no.
Alcuni posti sono più accoglienti di altri, a volte è piacevole ritrovarsi con le persone con cui
si suona. Dire in modo distinto “questo è uno studio” e “questo è un pubblico” diventa
difficile. Personalmente mi piace registrare nei locali in cui mi esibisco prima che arrivi il
pubblico. Soprattutto se si tratta di un mio concerto da solista. Mi piace far sfumare la
distinzione tra pubblico e studio. In entrambe le direzioni.

Qual’è secondo te la differenza tra istinto e improvvisazione?
EP: L’istinto è percepito a livello sociale come qualcosa che viene riconosciuto
collettivamente. Questo è il problema. Penso che i musicisti possano usare
l’improvvisazione per sviluppare una nuova idea di istinto collettivo.
Tu sei nato a Bristol, poi ti sei spostato a New York e a Londra. Qual’è la citta che ha
cambiato il tuo approccio alla musica?
EP: Sicuramente Londra. Lì ho conosciuto John Stevens, fondatore di Spontaneous Music
Ensemble e questo è stato un incontro che ha cambiato la mia vita. Lui è stato molto
generoso. Mi ha incoraggiato e mi ha insegnato un sacco di cose.
Tornando alla tua città di origine, Bristol in Italia è conosciuta principalmente per la
scena elettronica e Trip-Hop della metà degli anni ‘90. Tu sei in contatto con l’attuale
scena musicale?
EP: Conosco i Massive Attack e Portishead. Mi piace quel tipo di musica, ma non ho mai
avuto particolari contatti con loro.
Ti sei esibito con tantissimi artisti, impossibile citarli tutti. Io ne ho scelti due:
Thurston Moore (perchè adoro gli Sonic Youth) e Robert Wyatt (perché credo che “end
of an ear” sia un disco fondamentale per la storia della musica sperimentale). Vorresti
raccontarci com’è stato suonare con loro?
EP: Ho conosciuto Robert in quanto sua moglie è stata la persona che mi ha presentato a
John Stevens. Per questo devo sempre ringraziare Alfreda (moglie di Robert Wyatt ndr.)
perché quell’incontro ha aperto molte porte per me. Io e Robert vivevamo a dieci minuti di
distanza uno dall’altro a West London. L’ho conosciuto poco prima del suo incidente, però
ho avuto modo di approfondire la sua conoscenza dopo. Rock Bottom è stato un disco
incredibile. Ascoltarlo è un’esperienza che cambia la tua idea di musica.
Io amo Rock Bottom, ma penso che The End of an Ear si un disco ancora più
sperimentale.

EP: Robert ha una vastissima gamma di possibilità di espressioni. Si tratta di uno spettro
molto vasto. Non faccio particolari distinzioni tra un suo disco e l’altro. Sono diversi modi di
esprimersi che lui si può permettere. Mi ha coinvolto nel musicare alcune poesie di un poeta
americano. Un’esperienza molto intensa.
Invece non posso raccontarti molto su Thurston Moore in quanto non abbiamo passato tanto
tempo insieme. So che adesso si è trasferito a vivere a Londra e credo che ci incontreremo
a qualche concerto.
Ti racconto un aneddoto divertente sui miei figli. Quando erano piccoli, siccome a casa mia
si ascoltava esclusivamente musica Jazz, andavano a casa di Robert, suonavano il
campanello e ascoltavano musica con lui. In quanto lui aveva una gamma di ascolti molto
più vasta della mia.